In questa pagina: aforismi, frasi e riflessioni.
All’imbrunire sulla battigia le idee prendono la loro forma più tangibile.
Dunque se vi siete incamminati sulla battigia ed avete voglia
di lasciare la vostra impronta su questa sabbia,
potete aggiungere il vostro pensiero nei commenti,
e i vostri aforismi o le riflessioni più belle e che ben si sposano
con la brezza di questa battigia,
entreranno a far parte della battigia del naufrago!
(*) Per aggiungere il vostro pensiero, scorrere tutti i commenti fino a toccare il fondale della pagina.
198 COMMENTI
Sei Vita.
Sei Viva.
Elly
Ti incontro così, in luogo senza spazio e senza tempo. Senza sapere se sarai mio, senza sapere se sarò tua.
Ma, forse, “nostri” lo siamo comunque.
In un modo tutto nostro, che neanche con cento dizionari si riuscirebbe a spiegare.
Quel “noi” che sa di telefonate infinite di “Si posso”, e poi di “No, non si può, ma lo voglio lo stesso”. Quel “noi” che sa di passeggiate senza meta, di peluche da bambini, e di gnocchi di riso, mangiati un po’ ridendo e un po’ commossi.
E la paura di ciò che sarà mi spinge a largo, mi fa tormentare dai flutti.
Ma tu sei sulla riva, a guardarmi e a lasciare che io ti guardi, attraverso quel darsi vita a vicenda che pochi riuscirebbero a capire.
Quel non capire. Quel lasciarsi andare al non capire. Via i ormeggi, via la colpa, via le aspettative.
Via quel “Ma tu, ma io, ma avevi detto, ma io ti avevo detto…”.
Ci viviamo così, come pirati affamati di vita, impauriti di trovare la riva, tendendoci la mano con una musica tutta nostra.
Ho visto una ragazza seduta al bar.
Tavolo per uno, un po’ defilato in questa terrazza piena di olivi, con l’ultimo sole di inizio autunno.
Tra le tazzine che tintinnano sui piattini, tra le chiacchiere di chi parla a voce troppo alta, in una colazione di un sabato che sa di relax, la sua risata ha fermato il tempo per un attimo.
Capelli arrotolati in uno chignon, una semplice tutina da palestra, niente trucco pare.
E un telefono tra le mani, appoggiato all’orecchio. Lo stringe come se fosse la mano di qualcuno che le sta facendo una carezza.
La cameriera deve farle cenno un paio di volte perché si accorga che le sta portando l’ordinazione.
Assorbita, completamente assorbita.
Sorseggia un thè caldo mentre parla in modo spedito, come se avesse da raccontare un milione di cose e non le bastasse il tempo…che a volte, il tempo per le cose che amiamo, ci sembra quasi di doverlo rubare.
Alza lo sguardo al cielo con aria sognante, così mi appare, perché quella brillantezza negli occhi sembra percorrere chilometri. Chilometri, strade infinite, strade che vorrebbe percorrere, per arrivare dove, da chi, forse dalla persona che c’è all’altro capo del telefono.
E ride, stringendosi da sola in un abbraccio. Come chi ha sentito tanto freddo, e questa tenerezza ancora non la conosce davvero.
Ride come se non le importasse di chi ha attorno, delle tazzine tintinnanti sui piattini, degli ulivi che fanno da spettatori, della mattina che procede vorticosa, delle persone che non potrebbero capire.
Forse non lo capisce neanche lei.
Forse non capisco neanche io.
Cosa può avere il potere di far ridere una donna così? Dal cuore, dal profondo, immobilizzando il tempo, lasciando indietro tutto il resto, facendola brillare di una natura appassionata e leggera.
Cosa muove la passione di una donna?
Forse un ricordo, forse un amore, forse la promessa di una gioia condivisa.
Mi piace immaginare che a farle brillare gli occhi ci sia la voce di qualcuno che la conosce, qualcuno che, al sabato mattina, non desideri altro che trovare tutti i modi per farla sorridere, farla sentire al sicuro.
Come se fosse una magia tutta loro, che non è concessa a tutti, che percorre quei chilometri, quelle strade, tempi infiniti di attesa, di sospiri, nella speranza di stringersi, nel solo desiderio di incontrarsi con lo sguardo.
E credo che sia bellissima.
E credo che bellissima si senta anche lei, mentre quella voce continua a nutrirle il sorriso.
Siamo fatti di momenti di pura bellezza.
Ritagli di vita quotidiana, storie incredibili che portiamo in giro con noi, senza che nessuno ci presti attenzione.
Mi chiedo quale sia la sua storia incredibile.
Ma preferisco non chiedere.
La sua gioia è privata, appartiene solo a due cuori che sembrano battere insieme, a prescindere da qualsiasi distanza.
LO SPRECO
Non conosco il tuo nome, anche se ti vedo ogni giorno, al mattino, qualche volta al pomeriggio. Sei bella, ancora giovane, non credo tu raggiunga i trent’anni. Di una bellezza classica ed aristocratica. La pelle chiara, punteggiata da qualche efelide fanciullesca. Sei alta, longilinea, spavalda. Colpiscono le tue spalle, larghe, diritte, da atleta. Stupendi capelli castano chiaro, fluenti e corposi quando li lasci sciolti, magnifici quando li raccogli morbidi con una semplice pinza. Hai gli occhi chiari, il viso di forma regolare, il tuo sguardo corre sempre lontano, verso ampi orizzonti. Quando cammini, alle 9 del mattino, verso il bar di una verde periferia, la tua falcata sembra richiamare lontani paesaggi delle Highlands; ti immagino in un altro tempo, un’altra epoca… gli anni ’30 in una Scozia che sembra il tuo nido d’origine… la giacca del tailleur ritagliata da un ottimo tweed delle Isole, indossata su uno chemisier color crema di seta lucente, due fili di perle al collo… ti infili i guantini da guida e scivoli al volante di una Bentley, non perdi tempo a proteggere la tua chioma con un foulard, no, tu no, sei selvaggia dentro e spingi sull’acceleratore, che sia il vento a spazzolarti i capelli, libera ed indipendente. Questo vedo io ogni giorno, quando ti osservo mentre porti a spasso il cane, un Lupo cecoslovacco (scelta naturale, per una selvaggia dentro), le lunghe gambe fasciate nei jeans o una tuta scura, con una bottiglia in una mano; quando prendi l’autobus col tuo compagno di molti anni più vecchio, la faccia ammaccata di chi ha incassato troppi pugni dalla vita, e vi abbracciate, rimanete incollati sullo stesso sedile, un sorso dalla bottiglia e vi baciate con trasporto come due adolescenti prima di salutarvi come fosse l’ultima volta in vita vostra, mentre lui va a lavorare in qualche cantiere.
Tu scendi con la tua bottiglia e vai chissà dove, col tuo passo elastico, lo sguardo lontano e distaccato.
Ti osservo e penso a quanto spreco, ragazza mia, la tua bellezza, il tuo corpo, i tuoi occhi, tutto sprecato…perchè sei un’alcolizzata.
Forse. Forse cambierà. O devo cambiare io? Il mio corpo immerso nella città.
La mia femminilità. Ferita, tatuata, volgarizzata, oscena, indecente. Le ragazze come me. Mi passano accanto. Volgari, sciatte. Indecenza è la loro parola d’ordine. Io non ci sto. Il mio corpo è puro. Bianco, immacolato. Senza segni. Il segno sono io. E sono coperta. A luglio.
Il corpo è un tempio. Ed il tempio non è in vendita… e non si deturpa coi pastrocchi. Brava Nina.