In questa pagina: aforismi, frasi e riflessioni.
All’imbrunire sulla battigia le idee prendono la loro forma più tangibile.
Dunque se vi siete incamminati sulla battigia ed avete voglia
di lasciare la vostra impronta su questa sabbia,
potete aggiungere il vostro pensiero nei commenti,
e i vostri aforismi o le riflessioni più belle e che ben si sposano
con la brezza di questa battigia,
entreranno a far parte della battigia del naufrago!
(*) Per aggiungere il vostro pensiero, scorrere tutti i commenti fino a toccare il fondale della pagina.
198 COMMENTI
” L’elettronica senza la cultura e la civiltà,
è come una enorme biblioteca senza libri,
come un enorme dispensa piena di involucri di plastica,
privi di contenuto. ”
Giorgio Giasir
06/06/2019
Ti mastico. Anzi no, prima ti voglio conquistare. Ti faccio credere che sei il mio tipo, unico, intelligente e capace. Sei bravo e indispensabile, ti proteggerò io, stai tranquillo, resta con me, starai bene. Ti mordicchio un po’, giusto per farti venire voglia e vedo che ci stai, ti piace e ti lasci conquistare. Faresti di tutto per avermi. Le mie promesse sono allettanti, lo so, sembrano confezionate apposta per te, per farti felice. Quindi ti mangio, inizio a masticarti piano per non perdere nulla del tuo sapore, voglio tutto da te e mi dovrai pure ringraziare, dopo. Non chiedermi pause, ti prego, non lo fare. Quando comincio, io non smetto più, e tu lo sai. Alla fine rimarrai stanco, senza energie nè desideri, uno straccio. Qualche volta vado a curiosare tra i miei vecchi amori. Li vedo tranquilli nei caffè, nei bar, qualche volta chiacchierano seduti su vecchie seggiole di legno, fuori dalle loro case, così, in strada. Tutti li credono dei perditempo, senza interessi nè passatempi. Ma non è vero, non è vero per niente. Maledizione. Ho fallito, con questi. Hanno capito tutto e non si sono fatti fregare. Ho avuto una “soffiata”. Mi hanno detto che stanno benissimo, meglio. Soprattutto si sono liberati di me. Pensa un po’, da non credere. Non tutti, sia chiaro. Ma qualcuno non l’ha bevuta. Ho fatto il possibile per convincerli che senza di me loro non sono niente, non sanno niente, non otterranno niente. Li ho fatti miei schiavi e pure i loro amori, le loro amicizie, i rapporti umani li ho imbastiti io, ad uno ad uno. Qualcuno, certo, è convinto di non esistere se non è assieme a me. Non sa coltivare i rapporti con gli altri, non è abituato a tessere la trama dell’amicizia senza di me, che rompo il ghiaccio, li accoppio a casaccio e riempio le loro vuote giornate. Ma questi anziani che vedo qui rilassati se la spassano alla grande. Ci sono riusciti, stanno vivendo, senza di me, ohibò, chiacchierano, giocano a carte, vanno al cinema, in gita, leggono. Qualcuno vuole imparare addirittura qualcosa di nuovo. Prima non è stato possibile. Per causa mia. Io non lo potevo permettere. Non è il mio stile. E poi sapevo che senza di me si sentivano persi, inutili. Devo migliorare, devo impegnarmi di più. Ho tanto da fare ancora. Come? Oh, mi scuso, non mi sono neppure presentato. Sono il Mondo del Lavoro.
Giovanni mi parla ancora una volta dei suoi problemi. Non è facile gestire una donna come lei. Francesca è sua sorella. Intelligente e colta, ha una laurea in lettere ed è sempre un piacere parlarle. Ha il senso dell’umorismo quella ragazza, e la battuta pronta. Certo, per me è facile. La incontro solo per caso ogni tanto, quando sta bene, ci parliamo per qualche minuto e finisce lì. Per suo fratello, no. Per lui non finisce con una semplice chiacchierata in gelateria. È lui che la segue, da anni ormai, cercando in tutti i modi di aiutarla. Difficilissimo. Qualche volta ci riesce, qualche volta no. E allora ricomincia tutto da capo. Ricoveri, terapia pesante, Basaglia è morto e se ne frega di Francesca. Ma quando era vivo, Basaglia se ne fregava pure di quelli come il mio amico Giovanni. Per lui contava il paziente, la sua libertà, compresa quella di essere libero di contagiare gli altri. Sì, la pazzia è una malattia contagiosa. Basaglia ha costretto i familiari dei malati a prenderli in carico, convincendo i “sani” che tutto andava bene, che non c’era da avere paura, perchè il malato non c’è più, non esiste la pazzia, siamo tutti uguali. Provaci. Prova a vivere col matto. Come fai, tu, ad aiutare chi soffre di una malattia mentale? Semplice. Per capirlo devi entrare nella sua testa, nel suo modo contorto e impossibile di ragionare, nelle sue domande e nelle riposte che si dà. Non esiste altro aiuto. I farmaci lo calmano, lo tramortiscono, ma non lo aiutano. Quindi sei tu che agisci. Per amore, per pietà, per rabbia. E cominci. Comincia la tua vita differente, lontana dagli altri, che non ti capiscono, non possono. Non puoi tu, farti capire. Sei preso, ormai. Giovanni, non sei tu: sei lei. E lo sai, me lo spieghi, la dinamica è chiarissima, come questa coppa di gelato alla crema. Non posso fare nulla per te. Per voi due. Forse pregare.
Quando ero in Birmania ho scoperto un sistema diverso per chiedere la grazia. Parlare con gli spiriti è un sistema pratico e molto usato laggiù. Chi ha bisogno, prepara un’offerta e si reca nella sala predisposta vicino alla pagoda. Dopo aver scelto lo spirito adatto, tra diversi disponibili, viene chiesto agli officianti di celebrare il rito. Questi uomini preposti alla cerimonia sono gli unici esseri viventi in grado di collegare il nostro mondo con quello degli spiriti. Sono gli omosessuali. Una mezza dozzina tra ragazzi e uomini, vestiti da donna e pesantemente truccati iniziano a camminare in circolo in senso antiorario, cantando assieme e accompagnati musicalmente da una coppia sullo sfondo, un uomo e una donna, che battono ritmicamente dei tamburi urlando a squarciagola. Vengono scossi dei rami pieni di foglie sulla frutta e sul cibo che verrà disposto ai piedi della statua dello spirito invocato. Poi, da una tinozza colma d’acqua, vengono presi con le mani due pesci vivi che per qualche attimo saranno appoggiati sulle foglie verdi appena benedette, poi ributtati nel secchio per non farli morire. Alla fine, il tamburo, i canti e la frenesia con le braccia alzate si fermano, tutto sembra tornato tranquillo, l’invocazione laica è stata fatta.
Ecco, mi piacerebbe invocare lo spirito dei matti. Che faccia stare meglio Francesca, che non faccia stare male Giovanni. Il sistema manicomiale in Italia andava cambiato, certo. Basaglia è riuscito a togliere l’orrore dagli ospedali, sì, ma quando ha cancellato il concetto di “pazzo” , unificando questa patologia a tante altre, ha sbagliato. Pazienti e familiari sono stati sciolti dalle catene, creando nuovi malati mentali. Genitori, fratelli, psichiatri, infermieri, vicini di casa. Tutti contagiati.
Ecco, avrei bisogno di uno spirito da invocare. Farei un rito con offerte e canti, affinché Francesca e Giovanni si possano salvare.
Più efficace, il rito sciamanico della dottrina basagliana.
Splendido e soleggiato sabato. Decido di fare un po’ di spesa. Il mio “buongiorno” all’unica commessa del negozio di frutta a verdura non è seguito da alcuna risposta. Prendo il sacchetto di nylon e comincio a selezionare le foglie di spinaci. Mi piace il self-service di questi nostri tempi: ti permette di selezionare, e sezionare, verdura e commessa. La guardo. Una brunetta sui 25 anni, carina, ma assolutamente fuori contesto. Non le piace il suo lavoro, chissà cosa vorrebbe fare. È trasandata, pallida e senza trucco, non ritiene che l’ambiente o la clientela meritino un po’ di cura del suo aspetto. Non sta uscendo con gli amici, nè sta scattandosi un selfie in posa plastica. No, qui sarebbe tempo sprecato. Anzi, probabilmente li vuole punire quei quattro stronzi che vengono lì a fare la spesa per spendere meno. Massimamente vecchi. Persone anziane che lei sente lontanissime e con le quali non vuole alcuna empatia. Che meraviglia, la natura. La foglia grande degli spinaci, quelli in cespo, è talmente interessante da farmi sospettare che il Padreterno voglia, tramite la sua osservazione, comunicarci qualcosa. Certo le sue costolature sono lì apposta per far scorrere meglio la pioggia sulla sua superficie, per bagnare le radici, e far crescere bene, per il nostro palato, questa assoluta bontà. Così credo che la giovane commessa potrebbe pure lei gratificare la natura e il mondo che la circonda, solo mettendosi un po’ a posto. Sorridi qualche volta, cara, aiuta gli anziani che entrano qui ad avere un po’ di gioventù nella loro grigia giornata, non ti costa nulla e magari se scambi qualche parola con loro ti divertiresti pure e le ore passerebbero veloci. Muso duro, niente da fare. Impila cassette di legno piene di fragole profumate mentre la radio intona “My sweet Lord”. La guardo, e non resisto. Mi piace rompere i coglioni alla gente, soprattutto quando la mia giornata è positiva. Faccio il bastardo, ma a fin di bene. Chissà perché sono convinto che gli altri dovrebbero capire il senso delle mie provocazioni. Ma sono fatto così, so che la brunetta sbaglia e so che vive male, anche per colpa sua. Parto all’attacco. Mi avvicino con gli spinaci in mano e la fisso sornione fino a quando si decide a guardarmi. Le chiedo, piuttosto deciso, ma sorridendo, indicando con gli occhi gli altoparlanti: “Lei, ovviamente, sa chi cantava questa canzone, vero?”. La ragazza continua a guardarmi inespressiva. Io rimango in attesa e lei, a questo punto, non riesce a non tentare una risposta: “Non so. Mi vengono in mente i Beatles…”. Le sorrido apertamente, la guardo con tanta intensità da trafiggerle le pupille e non mollo la presa….Siamo già a un buon punto. Continua il mio interrogatorio: “Beatles, esatto…quindi?”. La pallida lascia perdere le fragole, si sente già un po’ fuori dal negozio, all’aria aperta, forse a fumarsi una sigaretta rilassante. Decide la risposta da darmi e si butta: “John Lennon?”. “NO!” Sentenzio soddisfatto. “Quasi!”, continuo: “è George Harrison !”. Non voglio torturarla ancora, mi basta il suo sforzo che mi apre la porta del suo cervello. Lei ora è pronta a sentire il finale. Quanto meno si è accorta di me. Non sono una parete, uno scaffale pieno di frutta. Sono un uomo che le sta parlando. Anzi, una persona che vuole comunicare qualcosa. Lei va alla cassa, sa che devo pagare. Appoggio gli spinaci sul bancone e continuo. “Capisce – le spiego – quando uno va in India, e i Beatles sono stati, in India, (la radio continua ad un buon volume, I really wanna see You…I really wanna be with You….) quando torna qui si mette a scrivere una canzone”. La bruna mi guarda nuovamente scettica e indicandomi l’importo da pagare replica: “Ah,… è così che funziona?”. “Certo, funziona così”, dico io, prendendo il resto. “Tutti quelli che partono per l’India si sentono diversi, poi quando rientrano qui…. (e la radio: Hallelujah….) … torna tutto come prima”.
Che dirti, bella ragazza? L’erba voglio non esiste. Hai un lavoro, in tanti non ce l’hanno. La crisi sta facendo aumentare i poveri e i disperati. Gli autobus sono pieni di uomini che puzzano di alcol perché hanno perduto il lavoro e sono umiliati, scoraggiati, senza futuro. Tu sei giovane, bella, sana. Ti prego, esci da casa truccata e vestita bene come per andare ad un appuntamento importante. Perché questo è, il tuo lavoro: una cosa importante. Vivi questo impegno con leggerezza, chiacchierando un po’ con i clienti e guardando con benevolenza chi il lavoro non ce l’ha o è alla fine della propria vita. Fallo, ti sentirai meglio. I really wanna see you, Hallelujah.
Cos’è? È un piacere, un momento di voluttà che dura più di un attimo. Il suo profumo è inconfondibile, inimitabile, vero. Riscalda il corpo e lo spirito, ti fa ridere o piangere. Quando lo senti, lui non ti lascia mai indifferente, ti arricchisce, spesso ti sorprende, raramente ti delude. Scelgo la versione bianca quando ho caldo, quando converso, quando la mia mente ha bisogno di volare. Quando voglio l’infinito davanti a me, e non sento ostacoli, quando voglio capire il mondo, gli altri. La versione rossa è altra storia. Il colore del sangue non può che rimandare al cuore, al nostro io, a chi siamo, a cosa vorremmo fare. La nostra intimità è racchiusa lì, in quel calice di cristallo che ricorda un tulipano. Gli aromi dei frutti di bosco non lasciano dubbi. Siamo noi, maturi, scuri, pieni di succhi da spremere e di esperienza. Se solo qualcuno ci stesse ad ascoltare.