In questa pagina: aforismi, frasi e riflessioni.
All’imbrunire sulla battigia le idee prendono la loro forma più tangibile.
Dunque se vi siete incamminati sulla battigia ed avete voglia
di lasciare la vostra impronta su questa sabbia,
potete aggiungere il vostro pensiero nei commenti,
e i vostri aforismi o le riflessioni più belle e che ben si sposano
con la brezza di questa battigia,
entreranno a far parte della battigia del naufrago!
(*) Per aggiungere il vostro pensiero, scorrere tutti i commenti fino a toccare il fondale della pagina.
198 COMMENTI
Osservo con interesse le volute di vapore che salgono dalla ciotola piena di profumato brodo caldo. Questa stupida influenza mi ha inchiodato al letto. Stavolta mi sono fatto fregare ed eccomi qua, in pieno giorno, sotto le coperte. La casa è silenziosa, dentro e fuori. Lei è uscita per andare al lavoro ed è questa la prima volta che ho il tempo di pensarla nel suo ambiente, in ufficio, tra computer, fascicoli e colleghi. Che starà facendo? Perchè me lo sto chiedendo solo adesso? Non la penso mai nel suo posto di lavoro, non so perché, me la immagino piuttosto qui, che cucina o riordina, risolve tutti i piccoli e grandi problemi quotidiani, parla al telefono, ascolta buona musica, segue i familiari, fa la spesa…Che strano, non capisco, faccio fatica ad immaginarla al lavoro. Eppure ride e parla con passione anche quando è fuori, certo, come fa qui con me. È lei. Ma perchè non l’immagino nel suo ufficio mentre lavora, discute, organizza? Fa tutto come sempre? Gesticola, si muove, butta indietro la testa per scoppiare a ridere pestando con un piede il pavimento, mette una mano su un fianco, tiene il telefono tra spalla e mento, scuote la testa?
Il primo sorso di brodo è una poesia. Più del solito, perchè oggi sono qui, da solo, e la casa è vuota. In questo momento lei è occupata come ogni giorno a quest’ora, ma io non me ne sono mai accorto. Quando lavoro la mia vita è assorbita dall’ambiente e dall’impegno, non mi soffermo sulla sua stessa situazione, preferisco pensarla qui in casa, che si occupa della nostra vita. Invece no. Lei non è mia. La sua vita le appartiene, dentro e fuori casa. Sono io che non la voglio condividere con gli altri, con il mondo. Ma che sto dicendo? Forse sono geloso? O forse ho solo paura di stare solo? Avrò due linee di febbre, non so…. Sembra che una lieve influenza, una piccola deviazione nella mia quotidianità, mi faccia aprire gli occhi sul mondo che io non vedo mai, chiuso in fabbrica nove ore al giorno. Che peccato aver bisogno di star male per potere aprire gli occhi. Troppa pressione…sì, sarà questo. Non ho paura della solitudine, è solo questo malessere passeggero che mi accarezza il cervello e mi dà strani pensieri. Non voglio possedere le vite degli altri, nemmeno la sua. Voglio il meglio, semmai, per lei e per le persone a cui tengo. Ma è difficile staccarsi dai propri bisogni. La mia necessità di lei deve essere bilanciata dalla mia volontà di non soffocarla, di lasciarle spazio, di accettare lei in mezzo agli altri. Di condividerla, in un certo senso, col resto del mondo. Ma si può? Non lo so. L’amore fa strani scherzi, ci costringe a vederci isolati, racchiusi in un mondo diverso e separato, dove addirittura il nostro pensiero rifiuta l’altro senza di noi. Dove mette le sue cose? I suoi cassetti…come li ha riempiti? Com’è fatto lo specchio del bagno, dove si controlla il trucco, i capelli? Parla, discute, ride…tutto senza di me. Che silenzio in questa casa, stamattina. Finisco di sorseggiare quel nettare liquido che mi ricorda di essere qui, a casa nostra, al caldo. Gli occhi degli altri, i loro pensieri su di lei, sul lavoro che svolge, su come è vestita oggi: tutti particolari importanti che non sono registrati nel mio data-base. Sfuggono al mio controllo e giudizio, dovrebbero essere miei e suoi, ma non è così. Mi devo rassegnare, sono fette di una torta che non è mia, non lo è mai stata nè lo sarà mai.
Mi bruciano un po’ gli occhi e decido di dormire, quando suona il telefono. “Ciao tesoro, va meglio? Saperti lì…Mi viene voglia di mollare il lavoro e di tornare a casa subito, che dici? Stiamo a letto tutto il pomeriggio, vicini vicini….vuoi?
Meraviglia <3, grazie Fulvy
Scendo le scale di corsa, è tardi. Tanto per cambiare.
Ma non faccio in tempo a raggiungere il portone perchè vengo bloccato da lui. Il signor Claudio vive nel mio palazzo, si sveglia all’alba e me lo trovo sui pianerottoli alla mattina presto. Persona riservata e intelligente, è molto anziano e arguto. Mi blocca spesso quando meno me lo aspetto per parlarmi di filosofia e stamattina ha voglia di farmi arrivare tardi in ufficio. Non vede, o non capisce, che ho fretta. La sua disattenzione però non è cattiveria, anzi, ho l’impressione che lo faccia apposta, apposta per me, per suggerirmi velatamente che quel mio correre, in definitiva, ogni mattina, ha poca importanza. Così inizia, dopo un sorridente “buongiorno “, a farmi partecipe del suo ragionamento. “Vede – mi guarda dritto negli occhi, a un palmo dal mio naso e dal profumo del mio dentifricio – oggi pensavo al riscaldamento globale e all’innalzamento del livello dei mari….” Cavolo, penso, sono le sette di mattina, a che ora si alzerà quest’uomo? Claudio si allontana da me leggermente e si toglie gli occhiali. Con un fazzoletto da naso perfettamente pulito e stirato inizia a passarlo sulle spesse lenti: “Nel porto stamattina arriveranno due navi da crociera. Ognuna ha 92.000 tonnellate di stazza. Lei capisce lo spostamento di acqua? Solo per queste due navi, il livello globale del mare salirà di 184.000 tonnellate!”. Ancora non capisco dove vuole arrivare. Per non offenderlo, mi scoccia guardare l’orologio per sapere che ora è. Sembrerebbe che mi stia importunando, e non è vero. Anzi, conoscendolo un po’, so che le sue esposizioni sono sempre puntuali ed interessanti, e voglio vedere come va a finire. “Sicuramente – continua – lei ricorderà il principio di Archimede: un corpo solido immerso nell’acqua fa aumentare il suo livello tanto quanto è il volume del corpo immerso…”. Lo osservo ripiegare il fazzoletto, che rimette in tasca mentre con l’altra mano inforca gli occhiali. Ha gli occhi azzurro cielo, Claudio. Non l’avevo mai notato. So che arriverò tardi in ufficio, stamattina, e credo lo sappia anche lui. Fa una piccola pausa, forse vuol capire se ci sto arrivando da solo, al gran finale. “Lei sa di quanto è aumentato il traffico marittimo e fluviale negli ultimi decenni?”. Si apre la porta del secondo piano ed escono i bambini della giovane tedesca da poco arrivata. Guten Tag, bei bambini, buongiorno, fate piano, non correte. “Una quantità di navi-cargo mai vista prima! Traffici di tutti i tipi, enormi navi porta container, un peso inimmaginabile, centinaia di migliaia di tonnellate di acqua spostata, più navi gasiere, petrolifere, navi cariche di metalli, derrate, macchinari, navi da crociera, militari, traghetti, tutto centuplicato, ma quanta acqua hanno spostato queste navi secondo lei? Se pure i ghiacciai si sciolgono, nulla da dire. Ma non è il riscaldamento la causa dell’aumento dei livelli del mare. Troppo poca, l’acqua dei ghiacciai. Il vero innalzamento del mare lo fanno le navi, sono troppe, troppo pesanti, troppo grandi”. Lo guardo e gli sorrido. I suoi occhi intelligenti sanno che lui può fidarsi di me. E fa bene.
Claudio, arriverò tardi in ufficio, oggi. Ma per merito tuo.
Grazie, prezioso amico. Per tutto quello che, fino a oggi, hai saputo regalarmi.
Ti guardo ancora una volta, e finalmente capisco. Tu, natura, non sei semplicemente tu. Tu mi manifesti il sacro, il divino. Sei un simbolo sensibile del soprasensibile. Un mantra per me. Per l’uomo che ha sete di conoscenza. Sempre presente, per chi sa vederti. Dovunque.
avvolte basta un solo attimo ed è tutto chiaro
Questi ragazzi oggi hanno tutto, hanno troppo. Smartphone e svaghi, serate fuori e vacanze. Sembro il solito rompicoglioni, perchè non dare un po’ di felicità a questi giovani? Noi non avevamo nulla! Appunto. Noi a vent’anni non eravamo già stati in vacanza a Londra, a Barcellona, ad Amsterdam. Protesto sempre contro questa consuetudine che sento, dentro di me, profondamente diseducativa. Vedo tante scolaresche in vacanza qui per la visita alla mia città. I genitori sborsano volentieri un po’ di soldi per mandare in ferie quei casinisti dei loro bambini, si godono un po’ di pace. Ma io non vedo alcun interesse nei loro occhi per le mie strade, i miei palazzi, la mia storia. Bambini e ragazzi dovrebbero essere portati a visitare ben altri luoghi.
Conosco realtà scomparse che tornano in vita grazie al volenteroso lavoro di qualche entusiasta che ha ripreso in mano l’agricoltura, l’artigianato, la carpenteria, la falegnameria, l’allevamento. Portateli lì, in visita. Lasciate perdere Venezia, Firenze, Pisa, Roma. Quando saranno grandi potranno apprezzare da soli la
grandezza di quell’arte e del suo popolo. Ora fateli imparare. Fateli scoprire il mondo e la creazione del benessere attraverso il proprio lavoro. La passione per qualcosa, per un progetto che inizia e si sviluppa, che porta avanti il pensiero, la curiosità. Un sogno da immaginare e costruire piano piano con le proprie mani.
Stamattina alla radio il grande tennista Nicola Pietrangeli ricorda il suo esordio. A lui piaceva anche il calcio, moltissimo. Il giornalista allora gli chiede: come mai quindi ha scelto il tennis? E Pietrangeli gli risponde che a quei tempi soldi ce n’erano pochi e siccome col tennis avrebbe potuto viaggiare, scelse appunto questa disciplina. Viaggiare. Una grande opportunità, che va guadagnata. Con il lavoro, con l’impegno, con lo studio. Così è nato un campione dello sport. Così nascevano i grandi campioni dell’Unione Sovietica, anche loro volevano viaggiare e solo lo sport di regime gli dava questa possibilità. È per questo che non abbiamo più grandi campioni nello sport, in Italia. Manca lo stimolo, la meta da raggiungere, hanno già tutto i nostri ragazzi. Nessun progetto da realizzare, piano piano, con le proprie forze. Nulla da sognare perchè nulla gli è stato fatto vedere come un modello di crescita, qualcosa di possibile, qualcosa da costruire, da guadagnarsi, da amare.
Si alza, e se ne va. Ogni settimana la stessa incredibile scena. Ed io qui, a pensarla, a pensarci, a sedermi nuovamente a questo tavolo per osservarlo attentamente. I bicchieri vuoti, le salviette usate, qualche posata, piatto, oliera, il libro da commentare, fogli stampati dal web per discutere l’attualità. La tovaglia è pulita, non facciamo disastri, noi, nel mangiare. Bravi. Sempre. Se ce n’è rimasto, finisco il poco vino e continuo a ripensare alle due ore appena trascorse. Voglio bene a quella ragazza. La mia sorella preferita. Lei è la mia famiglia, il mio cestino dove buttare me stesso quando ne ho voglia, e sono io pure il suo cestino, quando vuole, se lo vuole. Ma lei è anche l’altare dei nostri discorsi da platea vasta, lo scaffale delle nostre coppe, delle sue e delle mie, i premi conseguiti dopo attento esame del mondo e sentenza unica. I nostri pranzi sono la continuazione perfetta del rapporto finito troppo presto con il nostro caro papà. Papà. Papà, papà, quanto mi manchi. Quanto mi manco io, a chiamarti papà. A telefonarti, a trovarti, a parlarti, sempre. La tua fisicità, la tua gestualità, la tua voce. Ti vedo ogni tanto per strada, non sei tu, ma la mia mente vuole vederti, qualcuno ti assomiglia, o forse no, ma io sì, ti vedo, sembri tu, e non è vero. Sempre pronto a raccomandare, a ricordare, l’importanza di questa nostra famiglia, dovete, dovete farlo, non perdetevi per strada, è brutto, è bruttissimo, fratelli che non si parlano e non si frequentano più, non voglio, non voglio che succeda mai, mai, non fatelo. No, papà, non lo facciamo. Ci vediamo io e lei sempre, ogni settimana, caschi il mondo, sempre, sempre. Parliamo di tutto, come con te, caro papà, di tutto, di politica, delle nostre esperienze quotidiane, della città, e così pure ci arrabbiamo, ci scaldiamo gli animi, ci critichiamo, ridiamo a crepapelle, fino alle lacrime, ci amiamo. Sei tu, sei stato tu ad insegnarci questo, la dinamica degli affetti, dell’amore. Quanto sei stato bravo, quanto sei stato papà. Noi, noi eravamo sempre per te la prima cosa. La prima, prima di te, prima della mamma, prima di tua mamma. Quanto hai dedicato agli altri tu? Tutto. Troppo, qualcuno non lo meritava. Ma non fa nulla, sai? Hai lasciato un vuoto che nessuo può riempire nè capire cosa sei veramente stato. Ero piccolo che sentivo la tua domanda alla mamma: “pomeriggio libero! che bambino mi dai che andiamo a spasso?”. Stupendo, sempre assieme, sempre con te, sempre in giro, i pochi momenti liberi dal lavoro. Osservo i papà di oggi, anche nel mio palazzo, gente che conosco bene. Non vedo quel papà, non vedo quelle passeggiate, quel continuo esibire con orgoglio agli amici i propri figli, i propri bambini. Sono genitori moderni, questi, e i loro bambini non hanno il bisogno nè il tempo di andarsene in giro ad imparare qualcosa col loro papà. Hanno i corsi di lingue o violino, vanno a calcio o a danza, sanno tutto di computer e facebook. Tra compiti e socials non possono andarsene fuori col papà, questi bambini. E neppure lui ha tempo. Finito il lavoro deve scaricarsi, andare in mountain bike, in palestra, a fare il corso di sub. Magari dall’amante. Che famiglia è, che famiglia sarà? Porto la roba in cucina, sistemo il tavolo e metto a posto ogni cosa. Pronto per la prossima volta, per il prossimo pranzo, di nuovo, assieme.
Grazie Fulvy, “Anonimo artista della battigia” che ci regali queste splendide emozioni attraverso i tuoi scritti coinvolgenti e intrisi di vita e significato profondo! 😉 Grazie <3