In questa pagina: aforismi, frasi e riflessioni.
All’imbrunire sulla battigia le idee prendono la loro forma più tangibile.
Dunque se vi siete incamminati sulla battigia ed avete voglia
di lasciare la vostra impronta su questa sabbia,
potete aggiungere il vostro pensiero nei commenti,
e i vostri aforismi o le riflessioni più belle e che ben si sposano
con la brezza di questa battigia,
entreranno a far parte della battigia del naufrago!
(*) Per aggiungere il vostro pensiero, scorrere tutti i commenti fino a toccare il fondale della pagina.
198 COMMENTI
Mmm? Che c’è? Niente, oggi sono un po’ giù. Perché? Non lo so, sarà il tempo, forse. Facciamo un gioco, allora? Lo sai che non mi piace giocare. Lo so. Però questo è più di un gioco. Cioè? Voglio dire, è il gioco della vita. Sei pronto? Che vuoi dire, ..certo che sì! Bene. Facciamo finta che io non ci sia più. In che senso? Nel senso classico, io muoio e tu sei qui, senza di me. Mmm.. che gioco stupendo. Non hai un’altra idea? Già sono depresso…Dài! È il momento giusto, forza! Ok, va bene… tu non ci sei più e io sono solo. Sì. Esatto. Devi sopravvivere. Fai da mangiare, per te, solo per te stesso, per poter vivere. Che fai? Oh… beh…che faccio… come tutti..mangio un po’ qua, un po’ là. Panini, pasta, uova. E poi? Vivi con queste cose? Ti ricordi quel bel documentario sui solitari abitanti di quell’isola in Liguria? Tutti uomini. Si, ricordo. Bello, …solitudine, silenzio, natura… Ecco. Ce n’era uno in particolare, sognava di trovare una cuoca. Che venisse là a fargli delle minestre. Sì, ricordo, viveva solo lì, col suo cane, bella casa…vuota. Ecco, io vorrei…anzi, ..non vorrei mai che tu avessi bisogno di una cuoca, di una donna delle pulizie, niente. Mi piacerebbe che tu fossi indipendente, libero, autosufficiente. Ah, capisco ma….dove vuoi arrivare?? Dove? Be’…vorrei che tu fossi più bravo di quello là, ..E imparassi a fare una minestra. La guardo. Com’è bella. Sicura, forte, senza paura, autonoma e seria. La mia donna. I suoi occhi sono spalancati e chiari, mi guarda senza velo alcuno, picchia il mio ego maschile senza difficoltà. Ha le porte aperte, e lo sa. Ha ragione, come sempre in queste cose. È vero, non so cucinare che tre o quattro cose. Che tristezza, mi diceva mio padre, l’anziano solo , costretto ad andare a cena all’osteria, perchè non sa fare nulla in casa… Aveva ragione pure lui, caro papà, certo che avevi ragione. Forse non sono capace, non ho ambizioni da Cracco, sono viziato? O trovo sempre il pasto bell’e pronto, e non ci penso neppure a trovare un giorno la tavola vuota. Così ascolto. Ci provo, almeno. Lei, con pazienza, mi sembra un uccellino che insegna alla prole il primo volo. Calma, tranquilla, segue i miei movimenti ed errori, e ripete i passi, le sequenze, gli ingredienti, il sale, le carote, le verdure…. Una semplice minestra. Fai così, e non cosà, perchè è meglio, e mi spiega il perchè, mi apre un mondo, una conoscenza aliena, lontana dal mio essere maschile, anni luce. Finiamo la lezione. Ho capito tutto? Certo amore, sono sicuramente in grado di cavarmela, se necessario. Grazie, sei stata brava. Lei mi guarda; non saprò mai se è sicura di avermi convinto oppure no. Io pure non lo so. Saprei cavarmela? O chiederei aiuto, come quel Ligure solitario, che sognava una cuoca a prepararli una minestra? Io però possiedo una cosa che lui non ha. Io ho avuto questa lezione, una lezione d’amore, tutta per me. Personalizzata. Occhi azzurri, carote, olio di oliva, verdure, aglio, sorrisi, sedano, cipolle, gesti, sale, pepe, risate, abbracci, frecciatine, pomodori e complicità. Bastano, per sopravvivere? Direi di sì.
Nera. Pantelleria è roccia. Nera, avvolgente, protettiva, calda, profumata, amica. Iniziamo a parlare della sua bellezza, io e l’uomo che ho davanti. È sceso ora, attraverso le scure rocce taglienti, per fare il bagno e prendere il sole del mattino. Viene da Milano e assieme al suo compagno possiede un dammuso lassù, in cima alla collina bruna dietro di noi. Si dichiara schiavo di quest’isola, appena può sale sull’aereo e vola qui, anche a dicembre. In questo posto si fa il bagno pure in inverno, poichè le sorgenti calde vulcaniche riscaldano il mare in alcuni punti raggiungibili con facilità. Mi racconta di un pranzo di Natale trascorso al dammuso con gli amici, all’aperto, con la tavolata a strapiombo sul mare. C’erano venti gradi. Il mediterraneo di quest’isola assume una tonalità difficile da descrivere, uno zaffiro blu che bacia intensamente il verde dello smeraldo. L’uomo mi invita a casa sua, per vederla, a fine giornata. È orgoglioso del lavoro fatto. Un restauro che vuole l’originale pantesco a tutti i costi, faticoso e costoso per un rudere acquistato a poco prezzo ma in una posizione panoramica unica. Nel tardo pomeriggio decido così di andarci. La carrareccia in salita è piena di pietre ma la mia jeep non ha difficoltà a raggiungere la casa, immersa in un boschetto di eucalipti. L’amico mi viene incontro sorridendo e io, scendendo dalla macchina, commento la sua fortuna sfacciata per aver trovato l’unica casa tra gli alberi di tutta l’isola. Lui scoppia in una fragorosa risata e dice: “Sì! Una fatica immane, portare tutte quelle piante…da Milano!!”. Opera sua. Mi spiega che qui non c’era nulla, solo il rudere color bruciato, e il mare sotto. Mi fa entrare, rimango senza fiato. I muri esterni sono rosa, come da tradizione da queste parti, così come rosa è il pavimento in cotto fiorentino dell’interno. Ceramiche decorate a mano abbelliscono le pareti della semplice cucina e la Sicilia si respira qui a pieni polmoni, continuando il sopralluogo. Il soffitto bianco a botte, classico dell’architettura dei dammusi, garantisce aria fresca dappertutto, aiutato dalle finestre aperte su ogni lato della casa per far entrare il piacevole vento di tramontana. C’è un silenzio assoluto, qui. E dall’interno di questa dimora si viene rapiti dallo spettacolo che offrono le finestre spalancate sul blu intenso del mare sotto di noi. Un cannocchiale piazzato fuori garantisce la visione ravvicinata del passaggio dei tonni, frequente ed emozionante. L’amico si lamenta un po’ del clima salino, che rovina presto l’intonaco e impone continui restauri, ma gli ritorna il sorriso quando vuole accompagnarmi sul retro della casa, il “punto forte ” dell’abitazione. Anticamente, tutte le case di Pantelleria erano provviste di un “giardino arabo”. Una pezzo di terra rotondo, protetto da un alto muro a secco circolare, che lo proteggeva dal vento invernale. Lì si potevano, e si possono, coltivare aranci e limoni, mandarini e chinotti, uno spettacolo godibile solo qui, circondati dalle pietre nere del rassicurante muro circolare. Così, il restauro è stato fatto anche fuori, ripristinando l’antico sistema inventato dai Mori. Basta? Certo che no, il bello deve arrivare. L’amico mi fa cenno di muovermi piano e non fare rumore. Tra le foglie di un brillante verde mela, un uccellino ha costruito uno splendido nido. Non ha paura di noi e continua a covare le sue piccole uova senza muoversi. L’emozione dell’uomo che ho accanto è contagiosa. È una persona sensibile e mi sto convincendo che il motivo principale del suo cortese invito non sia stata la visita alla sua splendida casa. Ma la visione di questo miracolo in miniatura nel mezzo del Mediterraneo, nel suo splendido agrumeto. In Italia.
Settembre. Adoro questo strano mese, capace di regalare estati piene così come inverni precoci. Dalla mattina grigia e fredda col vento impetuoso che ha scosso per ore i giganteschi alberi dei viali, siamo passati ad un pomeriggio piacevolmente caldo, invitante e sornione. Non si sa quanto durerà questo scampolo di estate, forse qualche ora, chi lo sa. Ne approfitto per raggiungere la spiaggia e tuffarmi ancora una volta, forse l’ultima per quest’anno. Quando esco le gocce d’acqua sul mio corpo brillano più del solito, il sole è basso, ora, e tutto cambia aspetto. Il mare è uno sfavillio di stelline bianche che lampeggiano in ogni direzione, poco rumore, solo il va e vieni di piccole onde che si infrangono contro le grigie pietre. Mi distendo e penso a questi regali. La natura ci regala di continuo bellezze e sorprese, senza il nostro aiuto. A dire il vero, anche gli uomini che sono vissuti prima di noi ci hanno fatto dei regali. Tantissimi. Non li vediamo nemmeno, tanto ci siamo abituati alla loro presenza. Tutto quello che abbiamo lo dobbiamo a loro. Il morbido materassino che ho sotto di me, la crema solare nella borsa, il semaforo che mi ha fatto fermare più volte lungo il tragitto, le strisce bianche disegnate sull’asfalto. Pochi strumenti semplici che un essere umano, tempo fa, ha pensato di creare per rendere più vivibile e sicura la nostra vita. Certo, ci avrà fatto qualche soldo, bisogna pur campare. Ma l’idea originaria non scaturisce dall’eventuale guadagno, ma dall’uso che se ne fa di una data invenzione. Ci ha messo del suo, quell’uomo, nel trovare la soluzione al problema. I segnali stradali. Be’: quanto ci vuole per ideare un simbolo, un simbolo semplice, chiaro e comprensibile a tutta l’umanità? Sorrido. Sono solo, qui, davanti a questo luccichio magnifico, e mi sembra di aver fatto dei ragionamenti banali su piccole cose. Però non mi pare siano così piccole. Ignorare un segnale di passaggio a livello può portare alla catastrofe. Così provo una profonda tenerezza. Verso quest’uomo, questi uomini, che hanno impegnato del tempo prezioso per gli altri. Per sempre. E nessuno sa chi siano. Mi piacerebbe festeggiare ogni giorno qualche inventore ignoto, che so, oggi l’inventore della segnaletica stradale. Domani quello della maschera subacquea. Oppure l’ideatore del distributore automatico di bevande, delle mutande, del cappello con visiera, della Borsa termica, del contagocce, del rasoio elettrico. Niente. Non si fa. Nessuno apprezza il tempo impiegato ad ideare questi strumenti. Uomini che sono vissuti e sono morti, lasciando un’eredità al mondo. Un grande applauso. Io non lascio nulla. Non creo per il mondo alcun oggetto, strumento, comodità. Uso quello che c’e già. Ma mi intenerisce il pensiero che qualcuno come me, conscio di transitare veloce come tutti noi su questa terra, abbia avuto la necessità di aiutare il mondo, creando qualcosa di utile. Che prima non c’era. E ora, grazie a lui, esiste. E viene usato da miliardi di persone. Viva l’Uomo, quindi. Ma quello vero. Quello con la U maiuscola.
Grazie Fulvy!
Collegandomi al tuo pensiero inserisco questo link, di un’uomo che parla di vita e di impegno nell’ “oggi”, nel nostro mondo narcotizzato: https://youtu.be/F_SJBGZrbhM
Il tuo pensiero, ed il pensiero di Franca Valeri, spiegato in sintesi in questa allegoria: nella forza del partorire il proprio futuro e non nel vivere da consumatori/esecutori/”seguitori”/erogatori di “like”.
Una rivolta è ancora possibile, ma si può avere solo con l’essere portatori di una alternativa nella propria esistenza. La rivolta è il messaggio scritto nel nostro volto, nelle nostre scelte, nelle nostre azioni, nel nostro essere.
Leggo un pensiero su una rivista. Una donna molto anziana, con tante piccole e grandi infermità, alla soglia del secolo di vita. Testa lucida e corpo traditore. Si annoia, visto che non può fare quasi più nulla in autonomia. Sulla carrozzina e ipovedente, che vuoi fare? Quasi nulla, dipendi dagli altri e se il cervello continua il suo andare…be’…la noia ti sommerge. Pensa alla vita facile di oggi, vita comoda, troppo comoda. Franca dice: “Ci sono talmente tante facilitazioni che alla fine tutto diventa insopportabile. Telefonini …e la possibilità di comprare tutto su internet. Un tedio assoluto, invece che andare, come una volta, a “fare le commissioni”. In fondo, non ci è mai piaciuto avere un’esistenza così facilitata. La vita che non costa un po’ di fatica non è mai stata divertente, la difficoltà è uno svago”. E muori. Franca Valeri è stata una grande attrice. Troppo sottovalutata, nell’epoca dei “mostri” quali Sordi, Tognazzi, Gassman….Il suo antipatico clichè di borghese viziata e razzista, sempre distaccata, con la puzza sotto al naso. Franca, ti ho amato anche se ero piccolo, quando ti ammiravo alla TV. Ma ti capivo. Capivo che eri bravissima come lo sei ancora oggi. Lucida e lungimirante, hai anticipato il nostro tremendo futuro tecnologico, la nostra noia, la nostra morte. Volontaria. Il 5G è questo. Lascia fare agli altri. Tutto. Non agire più, lascia che siano gli altri a farlo. Ma domani questi “altri” non saranno umani come te, come me, Franca. Saranno loro. I devices, gli apparecchi elettronici. Comunicheranno tra loro, già lo fanno anche oggi. Quando squilla il nostro cellulare, oggi, è un segnale posteriore alla comunicazione che già i due telefoni si sono scambiati. Un segnale tra i due dice: “Hey, amico: sono connesso! Aziona la suoneria per quel gonzo ritardato del tuo proprietario!”, che, da brava pecorella, pensa di ‘accendere’ lui la conversazione e risponde, tutto allegro “Pronto? Heilà! Eccoci! Chi è?”. No. Il poveretto è già escluso. Così domani l’onda radio del 5G farà di noi polpette. Annoiati e sempre stanchi assisteremo passivi alla rivoluzione del nostro pianeta senza battere ciglio. Le macchine si parleranno tra di loro e i dispositivi decideranno la nostra sorte. Sì, no, sì, no, dentro, fuori… Che noia, che morte, il futuro, Franca. Felice chi ha vissuto prima di assistere a questo triste epilogo. Le battaglie, gli impegni, gli sforzi fatti ci nutrivano l’anima per la vittoria del fine raggiunto. Nella sconfitta, nuova linfa scorreva dentro di noi per ritentare, e non mollare l’impegno prefissato. Siamo gli ultimi, Franca?