In questa pagina: aforismi, frasi e riflessioni.
All’imbrunire sulla battigia le idee prendono la loro forma più tangibile.
Dunque se vi siete incamminati sulla battigia ed avete voglia
di lasciare la vostra impronta su questa sabbia,
potete aggiungere il vostro pensiero nei commenti,
e i vostri aforismi o le riflessioni più belle e che ben si sposano
con la brezza di questa battigia,
entreranno a far parte della battigia del naufrago!
(*) Per aggiungere il vostro pensiero, scorrere tutti i commenti fino a toccare il fondale della pagina.
198 COMMENTI
Non c’è cosa più bella di esser in pace con se stessi, nonostante la tua valigia inizi a pesare, anche di nuove emozioni, come il dolore. Come il rumoroso silenzio del tuo cuore quando si spezza, ma riuscire comunque a pensare e prendere sempre il meglio da situazioni, persone o cose. Mi è stato detto una volta, “tu sei tu, tutto il resto è rumore”, ed è vero, ci sono io ed è quello che conta… il meglio deve ancora venire!
” Quello che omettono di dire è che il sistema non garantisce la felicità. ”
Giorgio Giasir
27/01/2020
…. che dire? Mi sono emozionato. Vado pochissimo a teatro, un dramma poi.. La prima guerra mondiale. Ma non la solita prospettiva maschile, il fronte, il sangue, i compagni, la fame, le malattie, il freddo, i pidocchi, la mancanza della famiglia, degli amici. Qui si parla di donne. Della loro guerra. Rimaste a casa, ad aspettare.
Che guerra è? Una guerra di nervi, di disperazione, di silenzi. Di pazzia. Quante donne sono impazzite di dolore, alla ferale notizia. O alla mancanza di informazioni, per anni. E giù manicomi, cinghie, docce gelate. Anna, la protagonista, non riesce a sopportare tutto questo, ammalandosi. Povera Anna, lei e le sue amiche, aggredite da una guerra che non apparteneva a loro, né a nessuna donna. Che colpe avevano? Meritavano di essere legate ai letti? Di venire annaffiate con acqua gelata? Manicomi.
Ma certo! Puniamole queste “ribelli”, la guerra è maschia, la donna non ne fa parte, meglio dimenticarcene, buttiamole in un cantuccio, basta non sentirle, non vederle; poi si vedrà.
Così queste donne iniziarono a lasciarsi morire una settimana prima di Natale.
Sì, un suicidio collettivo come a Masada, il suicidio collettivo degli ebrei nel 73 d.c., quando quel popolo preferì suicidarsi in massa per non cadere nelle mani dei Romani. Così le povere donne, con Anna, rifiutando il cibo e la vita, hanno decisamente voluto ribellarsi ad un mondo che non sentivano loro, un mondo di guerra e di sangue, che uccide l’amore, i figli, le madri. Un rifiuto collettivo, sentito, deciso da tutte allo stesso momento.
Il mondo della donna non appartiene alla guerra. Non è cosa sua.
La donna dice no. Dirà sempre no, alla guerra, alla violenza, alla forza bruta.
No!
Bellissimo scritto e prospettiva, il mondo del sentimento e dell’amore in lotta contro la guerra, nella sua forma più cruda, più “viva”. Per non dimenticare. Grazie Fulvy, come sempre preziosissimo su questa battigia!
Questo? Acqua che scorre. Questo? Qualcuno che cammina, passa di qua e torna indietro. Questo? Una porta che si apre e una radio trasmette il notiziario nell’altra stanza. Adesso? Piatti, bicchieri, posate che vengono usate da qualcuno. Forse per preparare qualcosa o per mangiare. Un po’ di musica; il lieve rumore di un ferro da stiro a vapore; il quotidiano e le sue grandi pagine, un fruscio inconfondibile. Un armadio viene chiuso, un cassetto aperto, una tenda viene tirata un po’ per schermare il sole estivo: i suoi rullini sono di acciaio. La tastiera di un computer, il mazzo di chiavi buttate sul divano. E pensare che spesso voglio la pace, il silenzio. Li cerco perché credo di riposare, di staccare. Che strano, è un falso desiderio. Non voglio il silenzio, io. Mi piacciono questi rumori. È presenza. E’ vita. Siete voi.
Safiqeh! Eccoli! Svegliati, dai!
Fa presto! Guardali! Come sono belli…
Sultana è la prima a correre alla finestra. Raggiunta subito anche dalle altre. Belli, sì, stupendi. Tahmina non perde mai l’occasione per cercare con gli occhi il suo preferito. Piccolo come lei, bruno e con gli occhi chiari, luminosi e sinceri. Quel soldato italiano le ha sorriso, un giorno. Un attimo di felicità lunghissimo, interminabile, tutto per lei. I denti bianchi e perfetti di quel ragazzo gentile assieme ai suoi occhi azzurri le ricordavano la neve delle sue montagne. Tutto era finito ormai, niente più capre da pascolare, niente discorsi serali degli anziani, niente paura dei fratelli. Niente di niente. Un vuoto pulito nella sua testa di adolescente, pronto solamente a ricevere bellezza, grazia, calma, pace. Quei ragazzi italiani sono questo, per le ragazze vestite di blu. Un’oasi mentale per sognare, per sognarli. Capire i loro nomi è impossibile, troppo difficili. Safiqeh dice che è sicura di aver sentito chiamare Joannis, o qualcosa di simile. A lei piace quello alto e con la barba corta, cammina in un modo strano, simpatico, la fa sorridere ogni volta quando lo osserva dalla finestra. Lo pensa sempre, tutto il giorno, sempre, sempre. Lo immagina senza divisa, in maglietta, a fare qualche lavoretto, qualche riparazione su un camion. Come sarebbe bello avvicinarsi, e chiamarlo per nome, ciao, come ti chiami? Io sono Safiqeh, mi piacerebbe se parlassimo la stessa lingua, mi piacerebbe se mi prendessi la mano, se mi guardassi negli occhi. Joannis, …Giovanni? Forse Giovanni…? Non so…
Sultana le confessa che vuole ferirsi di proposito. La porteranno in quella tenda laggiù, l’infermeria. Si farà curare e potrà vedere da vicino il “suo” soldato italiano. Lei sa come si chiama, il suo nome è Bruno. Ma non lo ha detto alle altre, non lo vuole condividere, vuol tenerlo tutto per sé. I ragazzi armati passano, e se ne vanno dopo aver preso le consegne. Non si accorgono di essere osservati e nella breve sosta davanti a quella baracca parlano, ridono e fumano, belli, puliti, stranieri da amare, uomini protettivi che mi porteranno via, un giorno, un giorno, chissà, via da queste pietre, da questa povertà senza fine, dalla miseria di questi cervelli, dal vuoto dell’anima di questi animali. Ti prego Allah, non farli andare via, mai, falli restare, non posso più vivere senza vederli, senza sentire le loro voci, le loro risate. La loro pulizia, dentro e fuori, la voglio per me, voglio lavare la tua divisa, voglio vederti dormire, mangiare, voglio curarti, guardarti, baciarti. Allah, farò quello che mi chiederai ma ti prego, ti prego mio Altissimo, falli restare, fai restare qui l’uomo che è entrato nel mio cuore per sempre, tra queste pietre, questa sporca sabbia, questa guerra, questa gente. Questa triste vita, in terra afghana.