Chiara
Ero piccolo che uscivo in strada. Da solo. Come gli altri. Nessuna paura, si andava da un portico all’altro a giocare con i sassi. O a carte. O “in campagnetta”, la striscia di erba incolta che circondava gli edifici popolari. Potevamo farlo, non c’erano pericoli. Poche macchine in transito, niente loschi figuri nei paraggi. Potevamo ancora conoscere l’altro, il bambino che giocava con noi, e guardarlo negli occhi. Scrutare le sue reazioni, le sue mosse, per agire di conseguenza. Non come oggi, con gli smartphone. La realtà sfugge di mano ai bambini di oggi. Non capiscono chi hanno davanti, gli amici, i nemici, di chi fidarsi e chi no. E poi potevamo guardare loro. Le bambine. Seduti sui muretti, avevamo le nostre ginocchia sbucciate accanto alle loro gambe che spuntavano dalle gonnelline di cotone a fiori; sembravamo già grandi nei nostri discorsi impegnati, facevamo finta di avere delle opinioni da adulti.
Ha 7 anni Chiara quando il suo papà, come fa spesso, la manda a comprargli le sigarette. Dal portone al negozio, solo 15 metri da percorrere in solitaria. La piccola si accorge che un vecchio (vecchio? chi lo sa?) la sta guardando mentre chiacchiera col tabaccaio. Uscita fuori, si sente una persona alle spalle che, appena entrata nel portone, si infila nell’atrio con lei, di rapina. Un attimo: Chiara si volta di scatto e lo vede. Vede lui, il vecchio di prima l’ha seguita, che nello stesso istante le mette da dietro una mano tra le gambe per prenderla in braccio e le propone di accompagnarla a casa. Terrorizzata, la piccola ha il cuore a mille, le si chiude la gola, si divincola in un attimo e riesce a liberarsi mentre lui non insiste. Corre come una pazza su per le scale, sei piani di corsa, i bambini lo possono fare, sì, e corre dal suo papà. Riferito l’episodio, l’uomo resta sorpreso e arrabbiato, decide di non affidarle più commissioni da sola. È già cresciuta la mia bambina? Forse quell’uomo non aveva cattive intenzioni. Però Chiara, la mia piccolina, dimostra più degli anni che ha. Al cinema della parrocchia, ci vanno tutti, soprattutto bambini e adolescenti. Che bello, il cinema gratis e tutto il pomeriggio libero. Davanti a Chiara c’è un ragazzo, più grande, che le sussurra frasi sconnesse. Chiara percepisce che c’è qualcosa di sbagliato in quel sussurrare, non sa esattamente che cosa. Però la sua sensibilità le dice di non incoraggiarlo, di guardare da un’altra parte, lei in quel momento semplicemente fa finta di non essere lì. Passa il tempo e la sua adolescenza è vissuta più come un disagio che come un periodo bello della gioventù. La sua statura, è alta Chiara, la fa notare quando passa. Ma lei non vuole, non cerca l’attenzione. Il suo corpo la imbarazza, lo vedono tutti, ma perché non posso vivere la mia vita senza tutti questi occhi su di me? Sugli autobus le mani degli uomini ogni tanto tentano l’approccio, che schifo, ma che succede? Si sposta, si divincola e addirittura si sente apostrofare: “Be’? Niente di male…”. Ne prende atto. Comincia la sua vita da donna. Per strada capisce, d’istinto, che guardare davanti a sé significa incrociare gli sguardi degli uomini che a loro volta, se li guardi, si sentono invitati. Va bene, non guardo più avanti. Guardo le vetrine, per terra, per aria. La mia libertà è andata. Loro possono, sì, i maschi, possono tutto. Io no. Nemmeno guardare davanti a me mentre cammino. Inizia a lavorare come impiegata e pure in quel luogo professionale, serio, deve cambiare la sua personalità. Troppo bella. Come mai le troppo belle sono spesso stronze? Perché si difendono. Chiara infatti capisce che non può essere sé stessa, allegra, solare, come è la sua indole perché ciò comporta un invito al mondo maschile. Qualunque uomo, anche brutto, anche vecchio, si sente adulato se una bella donna gli si rivolge col sorriso e con la dolcezza, con l’intelligenza della battuta, con il capirlo al volo, con la disponibilità. Lui, poverino, crede che questa fata si sia improvvisamente invaghita di lui, chissà perché, povero uomo stupido, senza qualità, tanto arrogante ed egocentrico da meritare l’allontanamento a vita. Perché tu, stupido uomo, la inviti a cena? Perché la offendi sul posto di lavoro? Lei è gentile e sorridente, credi lo faccia perché ha te davanti? Però è lei che paga il prezzo. Reagisce anche questa volta e cambia. Non lo fa più. Falsa il suo essere, il più profondo, il più bello. La sua spontaneità. Sta ora molto attenta a come parla, a come si atteggia, fa vedere di essere fredda, un vero ghiacciolo. Ma Chiara non è così. La costringe il mondo dei maschi, sempre a caccia, sempre affamati, sempre ciechi di fronte a lei. La donna. Chi è? È quella che si innamora, quella che fa figli, colei che manda avanti la famiglia di lei, di lui, di tutti. È quella che rivede lo stesso copione ripetuto migliaia di volte. Se sei troppo bella sei mia, se sei troppo capace mi fai ombra e ti devo distruggere. Se sei ferma nei tuoi propositi sei acida, se hai delle ambizioni vuoi fare l’uomo. Se hai delle passioni, non sono le mie. Quanta guerra, quanta fatica, Chiara. La tua intelligenza ti ha fatto superare questi anni di continua allerta. L’uomo non sa. L’uomo non ha la più pallida idea del continuo guardarsi attorno della donna nel corso di tutta la sua vita. Sempre sotto attacco. Sempre preda. No. Il maschio vive come se su questa terra ci fosse solo lui. Lavora, si preoccupa del bene proprio e degli altri, dispone o accetta, viaggia o si riposa, si innamora oppure no. Ma non vive costantemente sotto osservazione. Non sa cosa sia annusare l’aria ogni istante per capire se c’è un nemico in agguato. Posso o non posso fare questo o quello? Non si pone alcuna domanda. La strada della sua vita è dritta, quella di lei non lo è. Chiara deve adattarsi alle situazioni che incontra ogni istante, scegliere la più appropriata, per evitare la catastrofe. Lo saprà, alla fine, se ha agito per il meglio, per sopravvivere. Ma dov’è la bella bambina con le ginocchia penzoloni seduta sul muretto? Il suo sorriso intelligente, i suoi occhi azzurri e indagatori, il suo bel viso raggiante di felicità quando la guardavo un po’ più a lungo. Femmina. Sei meglio, sei più grande di noi. Sai più cose. Sai vivere. Sai lottare. Ti adatti, perdoni, castighi, giochi. Fai più di noi. Ma anche la tua grandezza, oggi, è in pericolo. La giovane femmina che vedo ogni giorno scendere le scale del mio palazzo con gli auricolari e lo smartphone in mano, non conosce la realtà che la circonda. La sua sensibilità di donna è stata assorbita completamente dai social che segue giorno e notte. Nessun allarme, nessuna deviazione nel suo percorso, nulla da scansare o da rifinire. Non cresce, la femmina che è in lei. È morta, purtroppo. E io sono qui, che penso a lei. La guardo, e piango.
L’anonimo artista della battigia
08/05/2019
Pubblicato su:
“Brezza di mare”
il 15/05/2019