Il “non detto”
Da piccolo non capivo, da perfetto bilingue, perché certi termini che in una lingua avevano un significato positivo o neutro, nell’altra avessero un senso prevalentemente negativo… Dal mio punto di vista le parole erano un sistema per descrivere passi di vissuto, e non per forza questo doveva racchiudere un messaggio positivo o negativo: questo dipendeva secondariamente dal contesto in cui venivano usate.
Negli anni, crescendo, ho compreso dove fosse l’inghippo: ogni parola si porta dietro la sua storia culturale, una sorta di informazione non detta e non spiegata dai dizionari, quella parola avendo un suo proprio vissuto nella società in cui è usata, acquista un suo carattere, una sua identità e di conseguenza si schiera nell’essere una bella parola o una brutta parola, anche se apparentemente innocua e magari con lo stesso significato lessico dell’altra.
Questa mia “scoperta”, da perfetto bilingue, non si è fermata nel contesto comunicativo scritto o orale, ma si è estesa in tutte le forme di comunicazione sociale, sì: lo stesso principio vale anche nella comunicazione virtuale attraverso social. Ci sono frasi o modi di dire nel parlato che è bene omettere in una comunicazione scritta su messaggistica istantanea, perché la mancanza della “reale” Smorfia facciale, non può far comprendere all’interlocutore la vera intenzione emotiva del mittente, e dunque un certo discorso, potrebbe essere soggetto ad una “brutta/cattiva” Interpretazione seppur le intenzioni del mittente potessero essere scherzose o semplicemente neutrali… Da lì, le emoji nel quotidiano che non essendo reali espressioni facciali manipolano ulteriormente questo senso di “buono” o “cattivo” in ogni frase scritta attraverso messaggistica istantanea.
Ma andiamo oltre, viaggiamo ulteriormente in questo viaggio del “non detto” che va estrapolato tra le righe della comunicazione sociale. Entriamo in famosi social: nel primo “figlio di Zuckerberg”, il vecchio e caro fb, abbiamo appreso che alle persone non interessa tanto quello che hai da dire, certe riflessioni è bene tenersele per sé. Non interessano ai tanti, non prendono i “mi piace”, dunque molto meglio un gattino, un immagine d’effetto o ancora meglio un luogo figo con te in primo piano, e… sì! : la foto fatta da solo, che era sinonimo di sfigato, in cui neanche avevi un amico per farti fare una foto, rivendica il suo sangue diventando il selfie. E la foto davanti allo specchio, le famose foto da “bimbo minchia” nate con i primi cellulari a fotocamera, quelle che facevi da solo per vederti i peli nel naso o i brufoli e le stempiature e poi nascondevi in cartelle profonde nelle sottocartelle nel pc, o cancellavi subito, hanno avuto i loro diritti esistenziali e pian piano hanno scalato la piramide sociale conquistando il social.
Il “non detto” dunque è andato oltre, non è più una scelta sociale legata ad una distinzione culturale, non è la società che discute e decide cosa è buono o cattivo, ma è la stessa pura iterazione umana a fare da giudice: è quello che piace di più che decide, e istruisce l’algoritmo a scegliere quello che è più di tendenza e merita visibilità o quello che invece non la merita.
« Un momento, ma è proprio così? :
Se noi siamo già abituati dalla lingua stessa ad evitare certe parole rispetto ad altre, non è che anche un algoritmo, tramite il numero di “mi piace” ci può condurre a rivalutare il nostro pensiero, i nostri contenuti, le nostre decisioni future? Non potrebbe essere questo meccanismo “non detto” a modificare chi siamo “socialmente” e passo dopo passo chi siamo culturalmente?… »
Nel frattempo nasce il figlio adottivo di Zuckerberg , un applicazione per fotografie social: tutto gira inizialmente sul contenuto delle foto: arte, cibo, bellezza nelle varie forme visive fanno da padrone. Il social Instagram cresce sempre di più e papà Zuck ne annusa le potenzialità: Tanti utenti infatti usano fb solo per post visivi, annoiati da letture prive di grossi contenuti, vista l’innata caratteristica del grande fratello fb di mettere in secondo piano i post verbosi o di contenuto significativo, riflessivo, arguto e dunque potenzialmente pericoloso. L’idea è quella di dare a questi utenti annoiati, il substrato del “non detto” di fb ma arricchito con foto di bimbi minchia a gogò, con l’aggiunta di foto colorate su qualsiasi argomento per cui l’occhio umano ha un debole: e si da il via a foto “soft-porn” di tette e culi come se non ci fosse un domani, e giù di “pietanze alla escort” photoshoppate e piene di colori vividi che ti fanno scendere l’acquolina in bocca neanche fossimo cani che fissano braciole alla brace. L’algoritmo premia chi conquista più seguaci affamati di foto accattivanti e sensoriali, dandogli possibilità di guadagno: si introduce la pubblicità attraverso gli influencer, e chi può essere più influenzabile rispetto a un pecorone che sbava guardando foto di cibo e di culi vestiti?… Beh: il figlio adottivo ha superato di gran lunga il “grande fratello”, potremmo rinominarlo “cuculo”, uccello che in natura dopo essere stato deposto in un nido non suo, ingrossa spropositatamente e spinge fuori dal nido il pulcino originariamente proprietario del nido, facendolo precipitare al suolo. A differenza del caso in natura però, qui papà Zuck è ben consapevole del complotto essendo complice…
« ll “non detto” va anche fuori dai social, sai?: »
Quando ci viene data la possibilità di fare tutto a metà del tempo, grazie alla tecnologia sempre più performante, noi siamo convinti di poter spendere il nostro tempo come più ci piace, ma tanti di noi senza neanche saperlo si ritroveranno a lavorare per un qualche papà Zuck per il doppio del tempo rispetto a quanto ne lavoravano prima, e magari la loro vita, senza neanche capirlo, potrebbe precipitare in una prigione invisibile.
Forse il “non detto” andrebbe cercato, e detto.
Giorgio Giasir
14/04/2021